La quantificazione dell'indennità di trasferta degli avvocati tra juris vacuo e non liquet.

20 settembre 2017

di Gino Martinuzzi


 

    Il quesito relativo alla quantificazione dell'indennità di trasferta degli avvocati non ha ancora trovato concreta risposta. Per indennità di trasferta si intende il rimborso specifico dovuto all’avvocato per gli spostamenti correlati all’attività di assistenza e consulenza legale nell’interesse di un cliente.
    Della indennità di trasferta il D.M. n. 55/2014 tratta negli artt. 11 per la materia civile, 15 per la materia penale e 27 per l'attività stragiudiziale. Le prime due disposizioni si limitano a prevedere che "per gli affari e le cause fuori dal luogo ove svolge la professione in modo prevalente, all'avvocato incaricato della difesa è di regola liquidata l'indennità di trasferta e il rimborso delle spese a norma dell'art. 27 della materia stragiudiziale". L'art. 27 conferma tale previsione di principio, ma si limita poi a dettare i criteri per la determinazione del solo rimborso dovuto al professionista per le spese di viaggio, vitto e alloggio, mentre non indica nulla in merito all'entità della menzionata "indennità", sulla cui determinazione nulla si rinviene nella parte tabellare.
    Le abrogate disposizioni tariffarie, come noto, disciplinavano le trasferte degli avvocati in modo più completo, perché stabilivano non solo che all'avvocato spettasse una indennità di trasferta oltre al rimborso delle spese di viaggio, vitto e alloggio; ma anche che l'indennità in esame dovesse ammontare ad una somma compresa fra € 10,00 e € 30,00 per ogni ora, col limite di otto ore giornaliere. Nel mio Commentario della Tariffa Forense (II Edizione, Maggioli, 2011) trattavo la questione alle pagg. 196 per la materia civile, 266 per la materia penale e 315 per la materia stragiudiziale. In sintesi, criticavo le limitazioni poste dalla normativa sia al limite di otto ore giornaliere, sia all'importo orario di € da 10 a 30, osservando che in occasione della trasferta l'avvocato non ha la materiale possibilità di dedicarsi proficuamente ad alcuna altra attività (il che è vero fino a un certo punto: basti pensare al fatto che in treno si lavora benissimo al P.C.). Comunque, sulla base di tale considerazione (come detto fondata fino a un certo punto), segnalavo che sarebbe stato più ragionevole adeguare l'indennità di trasferta all'importo minimo di tariffa previsto per il compenso orario stragiudiziale (€ 65,00).
    Le disposizioni del D.M. n. 55/2014 sono prive di indicazioni sul punto della entità da riconoscere all'avvocato a titolo di indennità di trasferta, ma ciò non significa che essa sia ricompresa nel rimborso delle spese di viaggio, vitto e alloggio, che è cosa diversa, come anche lo stesso D.M. n. 55/2014 riconosce, laddove prevede che all'avvocato vada liquidato "il rimborso ... e un'indennità di trasferta".
    In pratica, di fronte alla lacuna normativa sulla indicazione dell'entità dell'indennità in parola, l'avvocato deve necessariamente prevedere specificamente un importo orario a tale titolo nel preventivo al cliente, se vuole ottenerne il riconoscimento. Ma ciò è plausibile solo da quando il preventivo è divenuto obbligatorio. Per gli incarichi pregressi, qualora di detta indennità si debba invocare la liquidazione giudiziale (anche in ogni situazione di mancanza di preventivo accettato dal cliente sul punto in esame), si può solo invocare una applicazione ultra temporale delle cessate tariffe, comunque ragionevole in casi di lacuna normativa come quello in argomento. Per il momento, la giurisprudenza di merito non appare particolarmente sensibile sul punto, come dimostra l'unica sentenza recente reperita sul tema: il Tribunale di Pesaro, con sentenza del 22.03.2016 si è infatti limitato a statuire che "qualora la parte ricorra a difensore residente in luogo diverso dalla sede del giudice adito, sono liquidabili, anche a carico del soccombente, l'indennità di trasferta e le relative spese, salvi gli opportuni correttivi in caso di eccessività o superfluità", così confermando la dichiarazione di principio come rinvenibile anche nella normativa, perché in concreto ha omesso di determinare alcun importo dell'indennità, limitandosi a liquidare il solo rimborso delle spese di viaggio, vitto e alloggio.
    Ecco, è proprio questo il rischio: che si continui a ribadire tralatiziamente il principio che "è dovuta l'indennità di trasferta", ma poi nessun giudice si prenda la responsabilità di liquidarla.
A completamento del tema, si segnala che, ove sia liquidata, sulla indennità di trasferta non va calcolato il rimborso forfetario e che la Corte di Cassazione, con orientamento consolidato, nega il diritto alla indennità in parola (salva diversa pattuizione fra cliente e avvocato) per le prestazioni svolte nel giudizio di legittimità. Una ragione in più per menzionare e disciplinare espressamente le trasferte nel preventivo scritto da far accettare al cliente.

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